mercoledì, 8 Gennaio, 2014 in
NOTIZIE INFORM
STAMPA ITALIANA ALL’ESTERO
Noi italiani all’estero, vogliamo votare?
BUENOS AIRES – Comincia il nuovo anno e da questa colonna riproponiamo per il dibattito un tema vecchio, che a un certo punto sembrava risolto ma che, vista la realtà di questi tempi, sembra presentarsi prepotentemente alla ribalta in questi giorni: il tema della rappresentanza delle nostre comunità. Un argomento che ha molte sfaccettature perché riguarda i rapporti tra di noi, quelli con le autorità e la società argentina e le relazioni con l’Italia.
A darci lo spunto in questa occasione specifica, sono le dichiarazioni del ministro degli Affari Esteri, Emma Bonino, la quale durante una intervista al canale tv La7, ha affermato: “Io penso che nella revisione della legge elettorale, anche della Costituzione, in particolare sul destino del Senato, va un po’ rivista la partecipazione dei nostri italiani all’estero”. “Penso – ha aggiunto il ministro – che sia una macchina troppo farraginosa, che ha dato adito a episodi non brillantissimi. A mio avviso tutto questo andrebbe rivisto, riprendendo, riconsiderando il principio che uno elegge dove paga le tasse”.
Il ministro quindi, esprime chiaramente la sua posizione contraria al voto degli italiani all’estero, senza nemmeno mettere le mani avanti, mettendo insieme sia la questione dei problemi dell’esercizio in se stesso e, argomento più netto contro il voto, che non paghiamo le tasse in Italia.
Su quest’ultimo punto ci sono state numerose reazioni da parte di politici, dirigenti e media italiani all’estero. Tra l’altro è stato ricordato che non solo tanti italiani all’estero pagano tasse italiane, che la Costituzione non segnala tra le condizioni per avere il diritto a votare o ad essere eletto, quello di pagare le tasse, in Italia o altrove, e che comunque gli italiani all’estero contribuiscono a sostenere l’economia italiana acquistando prodotti italiani e promuovendo la cultura del Belpaese.
Ma oggi la questione sembra aver scavalcato i limiti del dibattito sul diritto all’esercizio del voto, anche se, a scanso di equivoci, chiariamo subito che riteniamo tale diritto una conquista civile e ricordiamo che l’esempio italiano è stato poi seguito da altri paesi europei e non, a dimostrazione della validità di tale strumento.
Perché il voto all’estero ha la doppia valenza di essere un diritto e di costituire uno strumento, non solo per la partecipazione, ma anche e soprattutto, come voleva Mirko Tremaglia – “padre” del voto degli italiani all’estero – per il rafforzamento e lo sviluppo dei rapporti tra l’Italia e i suoi cittadini residenti fuori dallo Stivale.
Come abbiamo ricordato in altre occasioni, tutta l’attuale struttura di rappresentanza politica tra l’Italia e gli italiani all’estero, costituita dai Comites a livello locale, dal Cgie a livello continentale e dai parlamentari a livello politico italiano, è frutto del dibattito che si sviluppò lungo quasi mezzo secolo, dagli anni ‘60 alle Conferenze Nazionali dell’Emigrazione alla Conferenza Nazionale degli Italiani nel Mondo, nell’anno 2000, che precedette e diede determinante impulso all’approvazione del voto degli italiani all’estero, l’anno successivo.
Quella struttura di rappresentanza è espressione di un mondo, di un’Italia e di comunità di italiani residenti all’estero che da allora sono profondamente mutati. Per fare un esempio, ricordiamo che col passare degli anni l’Italia è diventata terra di immigrazione. Negli ultimi quattro o cinque anni però, tanti giovani italiani nati in Italia hanno intrapreso la via del’emigrazione. Nel 2012 ben 78mila giovani si sono trasferiti all’estero e si sono iscritti all’AIRE. Certamente non affrontano le condizioni terribili dell’Ottocento e Novecento, sicuramente percorrono strade meno impervie di quelle calcate da coloro che emigrarono tra l’ultimo dopoguerra e fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Ma comunque sempre emigrazione è. Anche a questi giovani nuovi emigrati ora italiani residenti all’estero, il ministro Bonino vuole negare il diritto a votare e ad essere eletti?
Gli attuali Comites sono in carica ormai da dieci anni, cioè continuano in teoria a rappresentare le comunità che li hanno eletti, cinque anni dopo la loro scadenza naturale. Dopo dieci anni, si può dire che sono espressione della volontà degli italiani che risiedono in ognuna delle circoscrizioni consolari dove essi operano? Ma chi decise i successivi rinvii delle elezioni, i Comites o i governi che si sono succeduti a Roma tra il 2009 e oggi?
L’attuale Cgie è stato eletto in una elezione di secondo grado fatta dieci anni fa, un mese dopo che furono eletti i Comites, i cui consiglieri, insieme a un certo numero di esponenti delle associazioni scelti dalle autorità diplomatiche, elessero, durante un’assemblea che nel caso dell’Argentina si tenne nella Scuola Cristoforo Colombo, gli otto consiglieri che rappresentano le comunità dell’Argentina nel citato Consiglio generale degli Italiani all’Estero, il quale ha come interlocutore primario, il Parlamento italiano. Espressione degli equilibri politici della Prima Repubblica, è forse l’organo di rappresentanza che si trova maggiormente sotto tiro, perché alcuni lo considerano superato dal momento che ci sono i deputati e senatori eletti all’estero, altri sostengono che è una spesa della quale si può fare a meno ed altri ancora criticano sia l’alto numero di consiglieri che sono designati in Italia (una trentina), sia il fatto che rappresentano quelli che definiscono “i carrozzoni della Prima Repubblica”. Ma se il Cgie non si è rinnovato nella forma e nella sostanza, la colpa non è della politica italiana e della sua espressione principale che è il Parlamento, primo interlocutore istituzionale del Cgie?
La struttura italiana si completa con i “nostri” parlamentari, i dodici deputati e sei senatori i quali, dati alla mano, non sono riusciti a centrare nessuno degli obiettivi che si prefiggevano i promotori del voto. Non sono migliorate le cose per gli italiani all’estero: la struttura consolare da anni viene ridotta; i fondi per la diffusione della cultura italiana all’estero sono stati decurtati; lo stesso vale per i fondi destinati all’assistenza e per i corsi di formazione per i discendenti e così via col resto dell’agenda. Inoltre, come abbiamo detto, dal 2009 sono rinviate di anno in anno le elezioni per il rinnovo dei Comites e del Cgie. Due enti che, tra l’altro, dovrebbero essere interlocutori privilegiati dei “nostri” parlamentari, ma anche in questo caso è alla vista di tutti che molto spesso tra questi enti e i parlamentari, c’è una reciproca indifferenza, quando non un vero e proprio dissidio.
Ma i “nostri” parlamentari sembrano aver mancato anche l’obiettivo più entusiasmante tra quelli che sognavano i promotori della loro presenza a Roma. Infatti, non sono riusciti a provocare in Italia la consapevolezza dell’importanza che le comunità all’estero potrebbero assumere per il Paese. Non sono riusciti a provocare simpatia e interesse tra gli italiani verso “l’altra Italia”, né a costruire ponti permanenti con le società che hanno accolto gli emigrati italiani lungo un secolo e mezzo di storia d’Italia. Non sono riusciti nemmeno a costituirsi in quella lobby degli italiani all’estero che ci si poteva attendere, perché non sono stati capaci di riunirsi tutti insieme, in tre legislature, una sola volta.
In altre parole, non sono stati capaci di dimostrare la loro utilità, detto questo senza nulla togliere all’impegno e alla capacità che alcuni di essi hanno offerto.
Non serve lo strumento o non è abile chi lo impugna?
Al di là delle esternazioni del ministro Bonino sul nostro voto, noi italiani all’estero e specificamente la comunità italiana in Argentina (che tanti anni fa fu in prima fila tra i promotori della costruzione di questa struttura di rappresentanza) dovremmo deciderci ad aprire il dibattito sulla questione. Ci interessa il voto? Vogliamo continuare a votare? Vogliamo continuare ad avere la possibilità di eleggere e di essere eletti? Vogliamo continuare ad avere Comites e Cgie o altri strumenti simili per dialogare con i rappresentanti dello Stato italiano? Vogliamo batterci per l’attuale struttura di rappresentanza o vogliamo studiarne e proporne un’altra? Vero è che dovremmo dibattere su tante cose, a cominciare dalla nostra identità e dal nostro futuro, ma se in linea di massima diamo per scontato che abbiamo una identità da difendere e un futuro da costruire, è chiaro che ci vorrà anche una struttura che ci rappresenti e su di essa bisognerà parlare.
L’importante è far partire il dibattito, perché altrimenti c’è il rischio che quella struttura sparisca nel nulla, senza essere sostituita da un’altra. A scapito dell’Italia e degli italiani all’estero. (Marco Basti – Tribuna Italiana /Inform)