giovedì, 2 Maggio, 2013 in
NOTIZIE INFORM
IMMIGRAZIONE
Presentata a Roma l’ “Indagine sull’assistenza familiare in Italia: il contributo degli immigrati”
Dalla ricerca, promossa dalla Unicredit Foundation e curata dal Centro ricerche e studi Idos, lo spaccato di una realtà lavorativa degli ’immigrati di alta utilità sociale.
Pittau (Idos) : “Ormai necessari interventi di tipo innovativo per gli oltre 700mila assistenti familiari immigrati e per i milioni di famiglie italiane che ad essi fanno ricorso”
ROMA – È stata presentata a Roma, presso Palazzo de Carolis, la ricerca “Indagine sull’assistenza familiare in Italia: il contributo degli immigrati”, una panoramica aggiornata sulla materia promossa da Unicredit Foundation e realizzata dal Centro ricerche e studi Idos. L’indagine, che si prefigge di analizzare un settore in cui gran parte dei lavoratori sono immigrati arrivati in Italia nell’ultimo decennio, si è sviluppata nelle regioni del centro e del nord del nostro paese ed ha coinvolto 606 assistenti familiari immigrati, contattati dagli operatori di “Agenzia Tu”, la rete di UniCredit dedicata ai cittadini stranieri residenti in Italia e ai lavoratori atipici presente in 10 città italiane, con la collaborazione di diverse associazioni di immigrati. Le interviste, realizzate tramite un questionario strutturato, hanno consentito di avvicinare in misura consistente le comunità di immigrati maggiormente presenti nel comparto domestico (provenienti da Romania, Ucraina, Moldova, Filippine, Ecuador, Sri Lanka, Perù) e in misura ridotta anche le altre, tenendo conto che per molte di esse il servizio presso le famiglie costituisce il principale inserimento lavorativo. L’indagine non manca inoltre di dedicare attenzione agli obiettivi strutturali da raggiungere nel settore della collaborazione familiare come ad esempio favorire l’incontro tra domanda e offerta; definire meglio la figura professionale dell’assistente familiare; incrementare la formazione professionale; diffondere una maggiore informazione in materia di diritti e doveri anche fiscali; generalizzare le buone pratiche su tutto il territorio; pervenire a un quadro organico delle provvidenze da erogare a favore delle famiglie; incentivare l’emersione dal lavoro nero che esercita un impatto fortemente negativo sugli immigrati; creare un collegamento tra gli interventi pubblici e l’assistenza a diretto carico delle famiglie.
Per quanto poi riguarda i dati dalla ricerca emerge come oltre il 90% degli intervistati giudichi positivo il trattamento adottato dalla famiglia italiana nei suoi confronti e sia iscritto al servizio sanitario nazionale. Quasi l’85% degli immigrati consultati dichiara inoltre di svolgere il proprio lavoro con piacere, anche se nel 76,9% dei casi pensa al rimpatrio, da effettuare a lungo o breve termine. Sono inoltre molti gli intervistati (72,2%) che riescono a risparmiare ed inviano i propri soldi nei paesi di origine, soprattutto per sostenere la famiglia, la crescita e lo studio dei figli. Il 64,2% degli assistenti familiari stranieri ascoltati non intendono acquistare casa in Italia, mentre il 48,3% degli intervistati non vogliono effettuare il ricongiungimento familiare dei figli.
Fra gli interventi dell’incontro segnaliamo la riflessione di Franco Pittau, del Centro studi Idos, che ha sottolineato come per comprendere questo importante aspetto della presenza immigrata in Italia si possa prendere spunto “da una interessante ricerca sui collaboratori familiari, che l’Inps, curò nel 2005 in cui si faceva cenno al fatto che in Giappone, un paese anch’esso con la popolazione in crescente invecchiamento, si stesse provvedendo a perfezionare l’assistenza agli anziani con robot dell’ultima generazione, definiti ‘intelligenti’ perché in grado di rispondere ad alcuni fondamentali bisogni degli anziani, essendo nello stesso tempo d’aiuto e di rimedio contro la solitudine. Questo rimedio alla solitudine – ha precisato Pittau – non è naturalmente comparabile, con riferimento agli aspetti qualitativi, alla tradizionale soluzione da mezzo secolo praticata in Italia per il tramite delle collaboratrici e dei collaboratori familiari. L’assistenza di queste persone è ricca di emozioni e di affetto, non ha un timbro di voce metallica ed è imperniata sulla presenza fisica e non su fili, plastica, batterie e simili: una differenza incolmabile. Molti purtroppo- ha aggiunto Pittau – considerano marginale questo comparto del mercato occupazionale, perché modernità è sinonimo di lavoro qualificato e non prendono in considerazione che i lavoratori domestici non solo sono la categoria più numerosa tra i lavoratori migranti, ma inducono anche a farsi carico di diversi aspetti qualitativi, tipici nei rapporti tra le persone”. Durante i suo intervento Pittau ha inoltre evidenziato come il settore dell’assistenza familiare consenta di elaborare molti spunti analitici sia positivi che negativi. “La riflessione sul passato – ha spiegato Pittau – offre diversi motivi di soddisfazione. La figura professionale degli assistenti familiari (che ci siamo abituati a chiamare colf e badanti) è una delle realizzazioni più significative dell’esperienza migratoria italiana. Infatti, la presenza di queste persone ha favorito l’emancipazione delle donne italiane e ha consentito di realizzare una’assistenza ramificata, sopperendo alle carenze delle istituzioni, in grado di raggiungere solo una minima parte di quanti hanno bisogno. Lo Stato – ha aggiunto Pittau – si è limitato a consentire l’ingresso di questi immigrati (iniziato senza clamore già negli anni ’60 per opera dei missionari italiani presenti in alcuni paesi di emigrazione), o a riconoscerlo a posteriori attraverso le regolarizzazioni (ben 400mila domande in quelle del 2009 e del 2012). A far fronte alle spese sono, però, le famiglie con le loro risorse, che surrogano lo Stato italiano che non può farsi carico della copertura totale del modello scandinavo. .La riflessione sul futuro – ha continuato Pittau – presenta invece molti motivi di preoccupazione. In effetti, lo scenario è preoccupante perché si compone di un numero crescente di anziani (saranno ben un terzo della popolazione a metà secolo), di una diminuzione dell’importo delle pensioni (di molto inferiori a quelle ottenute con il precedente regime retributivo), di un impoverimento del sistema paese (che dal 2008 ad oggi ha perduto sette punti percentuale di PIL), delle minori risorse da dedicare all’assistenza pubblica, della diminuzione del reddito delle famiglie e della riduzione del numero degli occupati. L’insieme di questi fattori rende più difficile anche alla “famiglia allargata” (anch’essa piena di problemi) di farsi carico economicamente dei bisogni degli anziani. Nasce, quindi, l’interrogativo se nel futuro sia possibile ricorrere in maniera così diffusa ai collaboratori familiari come avviene attualmente o se l’attuale modello di assistenza sia destinata a entrare in crisi, innanzi tutto per ragioni economiche”.
Nel suo intervento Pittau ha inoltre auspicato l’adozione di una proposta di sistema e di una visione d’insieme per l’assistenza agli anziani; una maggiore aderenza alla realtà delle decisioni volte a scegliere fra potenziamento degli aiuti pubblici e sgravi alle famiglie; un aumento del supporto pubblico per l’utilizzo delle collaboratrici familiari immigrate nelle famiglie a reddito medio basso e la creazione di un’iniziativa per la riqualificazione delle assistenti familiari e la collocazione in una sola cornice delle disposizioni nazionali, regionali, di altri enti locali e delle organizzazioni sociali sulla materia. Da Pittau viene anche chiesto un maggior impegno del settore pubblico per la formazione degli assistenti agli anziani che potrebbero trarre indubbi vantaggi da una buona conoscenza della lingua italiana e dalla prestazione del servizio famigliare in maniera associata. Auspicato inoltre lo sviluppo in questo ambito del concetto di “integrazione temporale”.
“In conclusione, – ha aggiunto Piattu – da una parte si è portati a valorizzare uno modello nato alla base e in larga misura riuscito, e dall’altra a sottolineare che sono ormai necessari interventi di tipo innovativo per gli oltre 700mila assistenti familiari immigrati (o secondo le stime, più del doppio) e per i milioni di famiglie italiane che ad essi fanno ricorso”. Da Pittau è stato infine evidenziato come, di fronte all’alto grado di attenzione manifestata e all’affetto molto spesso nutrito dalle colf e dalle badanti straniere nei confronti degli italiani in maniera generalizzata, sia necessario da parate delle famiglie italiane una risposta di reciprocità basata sull’apprezzamento per il lavoro svolto dalle lavoratrici immigrate, sull’interessamento per le loro famiglie lasciate nel paese d’origine e sul pieno rispetto delle normative previdenziali e del lavoro. (Inform)