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INFORMAZIONI DEL GIORNO – NEWS PER GLI ITALIANI ALL'ESTERO

 “Vecchia e nuova emigrazione italiana all’estero”, webinar del Centro Studi Idos sulla valorizzazione della rete degli italiani nel mondo

ITALIANI ALL’ESTERO

 

 

ROMA – “Vecchia e nuova emigrazione italiana all’estero: per una rivalorizzazione strategica della rete degli italiani nel mondo”, questo il titolo di un webinar organizzato da Idos-Dossier Statistico Immigrazione, in partenariato con il Centro Studi Diplomatici e in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri. L’incontro è stato condotto e moderato da Maria Paola Nanni del Centro Studi e Ricerche Idos, istituto presieduto da Luca Di Sciullo. “I flussi in uscita hanno ripreso vitalità diventando molto consistenti differenziandosi però dalla vecchia emigrazione storica italiana, che comincia subito dopo l’Unità d’Italia concludendosi all’inizio degli anni ’70 quando l’Italia è diventata un Paese di immigrazione”, ha spiegato Di Sciullo rievocando la ripresa cospicua del fenomeno migratorio italiano negli ultimi due decenni. Con l’occasione è stato presentato il nuovo lavoro di Idos intitolato “Tra rimpatri e povertà: gli italiani all’estero durante la pandemia” e finanziato dal Maeci. Alcuni dati raccolti nel lavoro sono stati anticipati nel corso del webinar lì dove si è parlato di interventi a favore dei connazionali all’estero durante questi difficili mesi di emergenza sanitaria.

Paolo Crudele, Vicedirettore Generale per gli italiani all’estero del Maeci, ha parlato di presenza di vasi comunicanti tra vecchia e nuova emigrazione: una presenza di connazionali, quella all’estero, sempre più articolata e complessa, da interpretare in termini di servizi da fornire e di accompagnamento per l’integrazione nei Paesi di residenza. “Parliamo di una tendenza che ha superato i 6 milioni di iscritti Aire. Nel 2019 ci sono stati 131 mila espatri: il 41% di questi riguarda la fascia tra i 18 e i 34 anni con un livello di formazione medio-alto. Secondo i parametri Ocse tutto questo significa una perdita economica, se consideriamo che vale 160 mila euro l’investimento per un laureato e addirittura oltre 200 mila per un dottore di ricerca”, ha spiegato Crudele sottolineando la necessità di un accompagnamento anche in caso di rientro in Italia. “Abbiamo sostenuto il decreto Crescita per le agevolazioni fiscali in termini di rientro; come Farnesina però incoraggiamo un maggiore dialogo tra la nuova emigrazione e l’associazionismo che è ben presente e robusto in molti Paesi di destinazione. L’associazionismo è una realtà importante che può mantenere vivo il legame con l’Italia ma anche una struttura organizzativa che merita di essere aggiornata proprio per trovare questi punti di contatto”, ha evidenziato Crudele riferendosi anche all’auspicata fase di rinnovamento riguardante Cgie e Comites, anche sotto il profilo normativo. “Il grosso lavoro da fare è qui a casa – ha aggiunto Crudele – perché non si può solo predicare la perdita di capitale umano senza un’azione decisa per rimuovere gli ostacoli che provocano la necessità di espatriare”, ha concluso Crudele riferendosi alla qualità nelle opportunità di lavoro e nella remunerazione in Italia.

Michele Colucci, ricercatore CNR, ha parlato proprio del ruolo dell’associazionismo e di quello dei patronati quali punti di riferimento per i connazionali all’estero. Cosa occorre alla nostra emigrazione? “Serve una ricomposizione tra vecchia e nuova emigrazione guardando anche all’esperienza dell’emigrazione straniera nel Paese di nuova residenza. Bisogna però rendere più elastico e articolato il ragionamento sui flussi migratori ad ampio raggio”, ha spiegato Colucci soffermandosi sul movimento degli ultimi quindici anni oltre all’emigrazione storica: siamo giunti alla soglia dei 6 milioni di iscritti all’Aire mentre soltanto quindici anni fa erano poco più di 3 milioni. Il ricercatore ha analizzato la specializzazione dell’emigrazione coincisa anche con la crescita del nostro Paese sotto il profilo delle opportunità formative. Tuttavia servono dei punti chiave per analizzare al meglio tutto il fenomeno migratorio: organizzazione dell’emigrazione intesa come legami; mappatura delle professioni dell’emigrazione italiana; questione del ritorno di capitali e di competenze. Franco Pittau, Presidente onorario del Centro Studi e Ricerche Idos, ha sottolineato il problema della tutela giuridica degli italiani all’estero: persone che hanno bisogno di essere comprese nelle loro necessità. “Occorre capacità di comunicazione dei problemi”, è il fulcro della questione evidenziata da Pittau rilevando come il Dossier Statistico dell’Immigrazione riservi sempre un capitolo dedicato ai connazionali nel mondo. “E’ un merito del Centro Studi Idos la nascita del Rapporto Italiani nel Mondo nel 2006 oggi continuato dalla Fondazione Migrantes: abbiamo inoltre scritto diverse monografie sulla nuova emigrazione perché pensiamo che ci sia una mancanza di conoscenza, non certo tra gli addetti ai lavori ma tra i cittadini”, ha spiegato Pittau menzionando come qualche volta l’emigrazione italiana sia troppo enfatizzata in termini qualitativi mentre servirebbe invece una maggiore assistenza ai connazionali. Si è parlato anche di immigrati. “Di fronte a cittadini stranieri che vengono in Italia si evitino gli sbagli fatti nei nostri confronti”, ha ammonito Pittau invitando a un approccio diverso all’immigrazione.

Antonio Ricci, Vicepresidente del Centro Studi e Ricerche Idos, ha evidenziato come tra il 2014 e il 2019 la popolazione residente in Italia sia molto diminuita. Non è però sempre stato così. “Negli anni ’70 gli espatri non sono più un fenomeno di massa e anzi cominciano i rimpatri; il 2008 ha poi visto la ripresa delle ripartenze per via della crisi economica. Le vecchie emigrazioni sono spesso legate a questioni economiche ma, se guardiamo ai dati Ocse, scopriamo per esempio che nel 2019 i salari italiani non avevano ancora recuperato i livelli pre-crisi e quindi la partenza è una scelta economica anche oggi”, ha spiegato Ricci sottolineando che non è più il Sud la principale zona di emigrazione ormai diffusa su tutta la Penisola. Cosa è accaduto con la recente pandemia? “In soli tre mesi di pandemia, grazie anche all’impegno del Maeci, sono rientrati 72 mila italiani da 60 Paesi. Il Cgie ad aprile denunciava un rischio immediato di rientro di almeno 150 mila persone impiegate nel settore della gastronomia e della ristorazione. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, in Italia c’è stato un paradosso: quello dell’esclusione dal reddito di cittadinanza che applicava la stessa barriera rivolta agli immigrati. Quindi per i connazionali che rientravano è subentrato il reddito di emergenza, stante la riacquisizione della residenza in Italia”, ha concluso Ricci.

Adriano Benedetti, ex ambasciatore e membro del Circolo Studi Diplomatici, ha parlato della questione della comunità italiana in Venezuela. “Qui essenzialmente ci troviamo di fronte alla vecchia emigrazione: l’80% dei 140 mila iscritti all’Aire in Venezuela non è nato in Italia. La comunità italiana non può non risentire di quello che accade nel Paese di insediamento.

“Alla difficoltà economica straordinaria del Venezuela  si è aggiunto il problema del Covid”, ha aggiunto Benedetti facendo notare che l’Italia è rimasta di fatto moderatamente equidistante tra il vecchio regime di Maduro e l’ascesa dell’alternativa rappresentata da Guaidò. Leopoldo Nascia, ricercatore e membro della redazione di Sbilanciamoci, ha trattato dell’emigrazione dei ricercatori italiani. Ha ricordato che un numero crescente di migranti è laureato toccando la cifra di 13 mila espatri annui, secondo i dati Istat. Ben 14 mila sono addirittura i dottori di ricerca che hanno lasciato l’Italia tra il 2008 e il 2019.  Quando si parla di ricercatori, è bene sottolinearlo, il concetto di cittadinanza è abbastanza fluido nel senso che si parla, in assoluto, di ricercatori che lasciano l’Italia ma non necessariamente questi sono tutti di cittadinanza italiana. E’ un dato che quindi dovrebbe far riflettere ancor più sulla mancanza di attrattività del nostro Paese. Dal Rapporto Anvur 2018, menzionato da Nascia, emergono dati abbastanza preoccupanti: dei 44 mila assegnisti di ricerca tra il 2009 e il 2016, il 61% è rimasto senza un’occupazione universitaria, il 29% è rimasto assegnista, il 9% è diventato un ricercatore universitario e meno dell’1% è professore associato. “E’ una vera e propria precarizzazione dell’università e molti di questi ricercatori sono quindi fuggiti dall’Italia”, ha sottolineato Nascia evidenziando come questo non dipenda affatto da una carenza qualitativa dei nostri ricercatori visto che l’Italia si posiziona al terzo posto al mondo per pubblicazione di ricerche scientifiche condotte da italiani, a prescindere dal Paese di residenza. Alessandro Rosina, docente di demografia presso l’Università Cattolica di Milano, ha ricordato che “se nel passato la decisione di trasferirsi era definitiva, spesso se al di là dell’Oceano, oggi invece c’è l’idea di un’emigrazione fluida per fare un’esperienza di studio o di lavoro tenendosi aperta la possibilità di rientro; tuttavia, a volte, questa diventa una scelta di non-ritorno se manca l’attrazione per il contesto di origine”, ha spiegato Rosina sottolineando l’importanza di creare dei “progetti-ponte” tra chi è in Italia e chi è all’estero.

Emanuela Del Re, Viceministro degli Esteri, ha parlato di “accompagnamento e valorizzazione dei flussi migratori che, in quanto tali, sono la naturale aspirazione della persona, un effettivo motorte delòle società di accoglienza e di partenza ”. Come ha evidenziato però il Viceministro “non è ancora stato chiuso il ciclo di riconciliazione con quel periodo storico dell’emigrazione italiana e questa nota di dolore che lo accompagnava, possiamo fare un passo in avanti in tal senso”. Com’è strutturata l’emigrazione odierna? “Oggi ci sono mobilità ibride con un movimento di pensiero e non solo con lo spostamento fisico: non ne conosciamo i confini e quali evoluzioni avranno in futuro per il recupero di un’identità”, ha spiegato Del Re delineando il superamento della soglia dei 6 milioni di iscritti Aire avvenuto il mese scorso. “Al 31 ottobre 2020 negli schedari consolari c’erano iscritti 6 milioni e 240 mila connazionali, due volte la popolazione di Roma, con una distribuzione su territorio globale con più presenze in Europa, poi in Argentina, Brasile, Venezuela, Usa, Canada e poi Sudafrica”. Sulla valorizzazione delle reti, il Viceministro ha rimarcato come “non sempre ci sia questa spinta e serva quindi un lavoro a partire dall’Italia: l’associazionismo è una tra le caratteristiche più belle e importanti della nostra emigrazione considerando che abbiamo 1.700 associazioni ufficiali registrate dal Maeci nel mondo e questo vuol dire che c’è voglia di stare insieme e di confrontarsi ma c’è anche bisogno di ripensare il concetto di identità per superare il gap generazionale”, ha evidenziato Del Re parlando anche dell’importanza dello studio della lingua italiana. Si può ritornare? “L’Italia deve ragionare sulla circolarità dell’emigrazione – ha aggiunto Del Re – perché oggi si può fare una scelta anche sul modo in cui si vuol vivere”. Anche la pandemia ha certamente condizionato i più recenti movimenti in uscita e in entrata: a tal proposito il Viceministro ha rievocato i circa 100 mila connazionali rientrati durante i mesi più difficili dell’emergenza sanitaria. “Proprio qui le reti esistenti sui territori sono stati fondamentali e abbiamo avuto un grande aiuto dai nostri connazionali all’estero”, ha concluso Del Re. (Simone Sperduto/Inform)

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