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INFORMAZIONI DEL GIORNO – NEWS PER GLI ITALIANI ALL'ESTERO

Rapporto Italiani nel Mondo 2020: Tutti i contesti regionali sono coinvolti dall’emigrazione, ad oggi quasi 2 milioni di emigrati sono originari del Nord Italia e quasi 861 mila del Centro

ITALIANI ALL’ESTERO

 

 

ROMA – Il Rapporto Italiani nel Mondo 2020 conferma l’esistenza di una forte realtà emigratoria da parte degli italiani; Esistono lungo tutta la Penisola variegate realtà emigratorie. Ed è proprio nelle aree a ridosso delle grandi città o nei borghi di provincia che si assiste a un più forte spopolamento. Ma quanti sono ufficialmente gli italiani all’estero? Le cifre potrebbero essere ben più ampie di quelle ufficiali, perché molti connazionali non si iscrivono all’Aire; pur tuttavia, attenendosi alle cifre dell’anagrafe per i residenti all’estero, al 1 gennaio 2020 risultavano residenti oltreconfine più di 5,5 milioni di italiani.

Dall’ultima rilevazione del 2019, a livello nazionale, la popolazione residente risulta ridottasi di quasi 189 mila unità mentre gli iscritti all’Aire sono aumentati nell’ultimo anno del 3,7%: diventa il 7,3% nell’ultimo triennio. Come già anticipato, tutti i contesti regionali sono coinvolti dal fenomeno senza troppe differenze; tuttavia a spopolarsi resta soprattutto il Sud e in particolare Sicilia, Campania e Puglia dove certamente il problema è sempre esistito anche come migrazione interna verso il Nord. Come ha spiegato nel Rapporto la curatrice Delfina Licata, parliamo di una tradizione storica emigratoria che è divenuta negli ultimi 15 anni un fenomeno strutturale del nostro Paese. La ricerca mette però in luce una crescita costante degli iscritti all’Aire anche nel Nord Italia. Se è vero che la presenza italiana nel mondo è storicamente soprattutto meridionale, ad oggi quasi 2 milioni di emigrati sono originari del Nord Italia e quasi 861 mila del Centro.

Scendendo al dettaglio provinciale il primo territorio che si contraddistingue, con oltre 371 mila iscritti all’Aire, è quello di Roma; a seguire, due province “minori” come Cosenza (178 mila) e Agrigento (157 mila). Tornando nuovamente alle metropoli più grandi o capoluoghi di regione troviamo Milano (149 mila), Napoli (146 mila), Salerno (144 mila) e Torino (132 mila). Tuttavia, proseguendo nella graduatoria, è interessante notare la presenza di città molto più piccole, la cui popolazione residente è al di sotto delle 40 mila unità; quindi con incidenze molto più elevate rispetto a quelle riscontrabili in una grande metropoli: per esempio Licata è al 12° posto con un’incidenza del 47,1%, Palma di Montechiaro è al 20° posto con un’incidenza del 53,1% e Favara infine al 24° posto con un’incidenza del 33,0%. Si tratta di territori meridionali, per l’esattezza siciliani, che confermano il gap tra grandi e piccole realtà cittadine, a prescindere dalla collocazione lungo l’intera Penisola. E’ dunque soprattutto lontano dai riflettori delle grandi città che si continua a consumare l’emigrazione senza sosta degli italiani: e non per fattori aleatori imputabili alla sorte bensì molto spesso per le mancanze politico-istituzionali nel valorizzare queste terre.

Prendendo a riferimento tre delle quaranta province analizzate dal RIM 2020 otteniamo un quadro tutt’altro che ottimistico. Da uno studio di Filippo Petrucci, dell’Università di Cagliari, risulta che la sub-regione sarda di Sulcis-Iglesiente sia oggi “un territorio assolutamente irrisolto: non è più industriale, non è agricolo, non riesce a sviluppare sufficientemente il turismo”. Negli ultimi 15 anni la popolazione italiana residente è scesa di oltre il 5% mentre si è registrato un aumento di quasi il 35% nelle iscrizioni Aire. Solo la Provincia di Carbonia-Iglesias –istituita nel 2001 e sciolta nel 2016, corrispondente all’attuale territorio del Sulcis-Iglesiente – secondo i dati Istat aveva alla fine del 2016 oltre duemila abitanti in meno rispetto al censimento del 2011, un indice di vecchiaia del 192% (peggiorato di circa il 70% rispetto al 2001) e, naturale conseguenza di quanto appena illustrato, un basso numero di coppie giovani con figli. Al 2016 il tasso di disoccupazione superava il 20%. L’emigrazione è purtuttavia una costante in questa parte di Sardegna. Già nel 1847 dall’Isola di San Pietro in diverse migliaia partivano verso l’Algeria e la Tunisia: secondo i registri del Consolato di Tunisi, nel 1865 la comunità italiana in Tunisia era composta da circa settemila persone e vi risiedevano 1600 sardi, seppure iscritti all’epoca come ‘sardo-piemontesi’ per evidenti ragioni geopolitiche. Solo durante il Fascismo, con l’autarchia e la fondazione di città coloniche come Carbonia, e fino agli anni ’50 si assiste al periodo di maggiore insediamento di popolazione e di incremento del settore minerario-estrattivo, che entrerà in crisi negli anni ’60.

C’è poi Frosinone e, come ha scritto il ricercatore Antonio Cortese dell’Università di Roma Tre, “anche dalla Ciociaria senza mare partono i bastimenti”. Il Frusinate rappresenta il cuore dell’emigrazione dal Lazio: Sant’Elia Fiumerapido è sede del Museo dell’Emigrazione della Ciociaria; Supino dal 1985 ha un monumento dedicato all’emigrante; ogni anno nel mese di agosto si svolge la festa dell’emigrante a Casalattico, Rocca d’Arce e Picinisco: quest’ultimo Comune ha a sua volta un museo sulla storia del paese e dei suoi migranti. Negli anni ’30 la meta privilegiata era la vicina Francia benché l’avversione manifesta da parte del Fascismo per i fenomeni emigratori; su cento laziali recatisi in territorio francese in quegli anni ben il 64% proveniva dal Frusinate: alcuni erano agricoltori e braccianti mentre altri erano oppositori politici del regime in fuga dall’Italia.  Tra gli anni ’60 e ’70 le mete cambiano: Canada e Usa guidano la classifica seguiti da Francia, Germania e Svizzera. Cosa accade negli anni a noi più recenti? “La novità è che non partono più i bastimenti, oggi ci si sposta con l’aereo”, spiega l’autore che sottolinea come i dati dell’ultimo decennio analizzato siano nel Frusinate inferiori rispetto all’emigrazione degli anni ’60. Tra il 2009 e il 2018 il totale delle cancellazioni anagrafiche per l’estero dalla Provincia di Frosinone registra poco più di 4 mila iscrizioni Aire. Ancora una volta cambiano le mete: al primo posto c’è infatti il Regno Unito, seguito da Francia, Germania e Irlanda.

Infine Belluno dalle cui montagne rinveniamo tracce di emigrazione fin dai tempi della Serenissima come ci ricordano gli autori del saggio Dino Bridda, della rivista ‘Bellunesi nel Mondo’, e il sociologo Diego Cason. Caduta la Repubblica di Venezia (1797) la provincia di Belluno conosce oltre mezzo secolo di gravi difficoltà economiche e l’emigrazione riguarda nel 1849 il 12,5% della popolazione spinta verso le regioni centro europee. L’annessione del Veneto al Regno d’Italia (1866) non migliora di molto la situazione; anzi, sono proprio questi gli anni dei grandi flussi migratori verso le Americhe. Tra il 1876 e il 1901 gli espatri della provincia di Belluno interessano il 19,5% della popolazione. Solo con i primi anni del XX secolo si assiste a un rallentamento del fenomeno che riprende tuttavia nel primo dopoguerra. Dal secondo dopoguerra agli albori del nuovo millennio ci si attesta su una media alta ma stabile: circa 7 mila espatri annui con un picco registrato nel 1967. Dal Duemila ai nostri giorni la media emigratoria annua è pari allo 0,5% della popolazione ossia circa 700 residenti: nel 2019 si è registrata la punta ‘anomala’ di 1.300 espatri circa. (Simone Sperduto/Inform)

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