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“Il mio zaino sulle spalle. Il tuo amore, la nostra fede”, per i 100 anni dalla nascita di Enrico Zampetti. Discorso della Presidente del Senato Elisabetta Casellati

CASELLATI

ROMA – A seguire la parte sostanziale del discorso della Presidente del Senato Elisabetta Casellati tenuto ieri nella Sala capitolare della Biblioteca del Senato per i cento anni dalla nascita di Enrico Zampetti.

Enrico Zampetti è stato protagonista della resistenza politica contro uno dei più grandi mali del mondo contemporaneo, la deportazione nei lager nazisti di centinaia di migliaia di internati militari accanto a quelli per motivi razziali. Da questa esperienza è riuscito a sopravvivere solo grazie al suo “zaino sulle spalle”, come il titolo di questo convegno ci ricorda, rievocando uno dei più significativi passaggi della lunga “Lettera a Marisa”.

Poche volte mi è capitato di leggere pagine così intime e insieme così universali come quelle che Enrico Zampetti ci ha regalato nel diario del suo internamento. Annotazioni scritte a matita sottile, su carta barattata con un pezzo di pane, che trasmettono ancora oggi il senso di una vitalità e di una moralità superiore a qualsiasi degradazione umana.

Pagine di un giovane che anche di fronte all’orrore e alla tribolazione non ha paura di guardare fino in fondo dentro la propria umanità. Che si confronta con una quotidianità dove la fame diventa il nemico più subdolo, dove l’inconsistenza delle razioni rischia di alimentare l’animalità come tentativo estremo di auto-conservazione. Ma che a queste miserie sa contrapporre le grandi riserve del suo zaino.

Da un lato l’amore per la fidanzata, un sentimento che, nel tempo folle della guerra e della prigionia, nell’incertezza di una attesa che non sembra avere fine, si sublima e diventa la promessa di una unione che travalica il presente e che è destinata a non esaurirsi mai. Marisa, la sua “bambina”, come Enrico Zampetti ama chiamarla nel diario, è una grande donna. Una donna che con poche, ma autentiche parole – quel “sono «Marisa», come tu mi hai creato”, scritto su una cartolina alla Vigilia di Natale del 1944 – sa dargli una solida speranza nel futuro.

Dall’altro lato, vi è la fede cristiana, quella profonda ragione religiosa che diventa il motivo di una resistenza morale, prima ancora che politica, all’ideologia del nazismo. E che, nelle poche celebrazioni liturgiche autorizzate nel lager, offre l’opportunità di liberarsi dalle catene della prigionia e di nutrire l’anima.

Enrico Zampetti ha detto tanti no. “NO” alla collaborazione armata. “NO” alla collaborazione civile con il nemico. Ma soprattutto “NO” alla disumanizzazione. “SÌ” alla libertà come scelta interiore che nessun sopruso esterno potrà fermare.

Mi ha davvero commosso ritrovare nel racconto di Enrico Zampetti gli stessi vissuti di mio padre, funzionario della polizia di Stato condannato a morte come oppositore al totalitarismo nazifascista. Nelle lunghe serate trascorse con me e i miei fratelli a rievocare l’esperienza del carcere, il mio papà era solito ripetere che quando aveva dovuto optare tra l’obbedienza al regime e la fedeltà ai suoi principi non aveva avuto dubbi, così come non aveva avuto esitazioni quando aveva dovuto scegliere tra salvare la propria vita o quella degli altri. L’amore incondizionato per la libertà e la fedeltà assoluta ai valori non negoziabili sono stati il suo faro. Questo è anche il filo rosso che lega l’esperienza dei tanti internati e detenuti politici che con il loro sacrificio personale hanno consentito all’Italia di ricostruire la propria dignità calpestata e rifondare la propria autonomia nazionale.

Enrico Zampetti è stato osservatore privilegiato di questa transizione. Dal ruolo di “registratore” dell’orrore di cui, come lui stesso osservava, “era al tempo stesso vittima e protagonista” al ruolo di “operaio” della ricostruzione morale, politica ed istituzionale del Paese. Un ruolo che lo vide capo della segreteria del gruppo parlamentare democratico-cristiano presso l’Assemblea costituente e poi nella prima legislatura repubblicana alla Camera dei deputati.

L’entusiasmo con cui visse questa esperienza al servizio delle Istituzioni repubblicane lo spinsero a scegliere il Senato come prospettiva professionale. Entrò in questa Amministrazione nel 1952 come segretario “in esperimento” e la lasciò nel 1978, come Direttore della Biblioteca. 26 anni al servizio del Senato che lo videro impegnato in prima linea nella creazione dell’Ufficio stampa, nato con l’intento di garantire al Presidente e agli Uffici una rassegna confezionata artigianalmente con articoli ritagliati e incollati. Dal 1971 ritornò in Biblioteca, dove seppe coniugare con grande equilibrio il rapporto tra la solida tradizione archivistica e documentale del Senato e le istanze di ammodernamento connesse allo sviluppo dell’informatica, ed in particolare dell’informatica giuridica, e dell’automatizzazione bibliotecaria.

E poi, dopo il pensionamento, venne la scelta di dedicarsi alla costruzione di una memoria collettiva. La decisione di aprire il “registratore” e di trascrivere il diario e le note chiuse in uno scatolone metallico per trasformare il racconto personale dell’orrore in un patrimonio fruibile, rivolto specialmente alle giovani generazioni. Un percorso condiviso con tanti ex internati militari, come Giovannino Guareschi, Mario Rigoni Stern, Alessandro Natta e anche Vittorio Emanuele Giuntella, che per una strana coincidenza del destino lo aveva preceduto come Direttore della Biblioteca del Senato.

La diaristica di questi testimoni d’eccezione ha una specifica valenza storiografica, perché ha dato voce all’esperienza spesso dimenticata di tanti internati militari, contribuendo ad evidenziare la nuova resistenza che in quei campi, tra quei detenuti politici, si era venuta a delineare. Una resistenza che, come sottolinea Antonio Sanseverino nella testimonianza a margine della “Lettera a Marisa”, contribuì a definire il significato di concetti come patria, democrazia, fiducia e riscatto.

Questa è la grande lezione di Enrico Zampetti di cui oggi, a 100 anni dalla sua nascita, dobbiamo fare tesoro. Una lezione che, dall’amore per Marisa, ci accompagna in una lunga storia d’amore per l’Italia, per una Italia libera e democratica fondata sul primato assoluto della persona umana. (Inform)

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