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Cosenza, una provincia in fuga da se stessa: il ritratto scattato dal ricercatore Giuseppe Sommario all’interno del RIM 2020

MIGRAZIONI

 

 

ROMA – “Vado all’America!”, questa era spesso l’esclamazione di chi partiva dalla terra cosentina, una terra quasi in fuga da se stessa: una provincia mobile, errante senza sosta, “senza rigettu” come direbbero le anziane usando un termine che indica ‘quiete’ o ‘riparo’, benché in alcuni borghi jonici come Paludi indichi anche l’idea del ‘ritorno a casa’. L’immagine che offre della provincia di Cosenza il ricercatore Giuseppe Sommario (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), nonché ideatore del Piccolo Festival delle Spartenze, è nel saggio contenuto all’interno del Rapporto Italiani nel Mondo 2020 ed è il ritratto di una terra segnata dalla mobilità ma anche dai drammi e dalle contraddizioni. Cosenza, la più popolosa ed estesa provincia calabrese, fu istituita nel 1861 all’indomani dell’Unità d’Italia e coincide con quella che, dal Medioevo fino all’epoca risorgimentale fu conosciuta come Calabria Citeriore o Calabria Latina. La provincia di Cosenza occupa la parte più settentrionale della Regione, in un territorio caratterizzato da bellezze paesaggistiche come le montagne del Pollino e della Sila che sembrano quasi abbracciare dall’alto gli oltre 200 km di costa.

“Si viveva di poco ma si viveva nel borgo; poi, cadute le speranze risorgimentali e stroncato il brigantaggio, anche i calabresi sono partiti”, scrive Sommario evidenziando come la destinazione privilegiata sia stata, soprattutto agli inizi di questa diaspora, al di là dell’Oceano: le Americhe. Dal 1876 al 1913 più di un milione di calabresi emigrò e la provincia più colpita fu quella di Cosenza con un contingente di oltre 400 mila cittadini. E’ dunque una terra segnata dalla mobilità ma anche dalle contraddizioni: da luogo di approdo di greci, romani, bizantini, normanni, arabi, spagnoli, francesi e arbëreshë (gli albanesi in fuga dall’invasore ottomano tra XV e XVIII secolo) ecco che diviene terra di partenze. La meta preferita della diaspora cosentina postunitaria è soprattutto l’Argentina. E’ però questa anche una terra di drammi, drammi che sono figli di una fuga dalla miseria: è la tragedia di quelle giovani spose, non di rado incinte, conosciute come ‘vedove bianche’, lasciate dai propri sposi coetanei partiti per l’ignoto del Nuovo Mondo; è anche la tragedia della soglia di analfabetismo che raggiunge l’80% perché, per ovviare alla manodopera maschile in uscita, anche i ragazzi teoricamente ancora in età scolare sono costretti dalla necessità al lavoro nei campi. Tra il 1919 e il 1940 lasciarono la provincia circa 84 mila cosentini, ossia il 40% del totale dei calabresi emigrati in quegli anni: il picco è nel 1920 con 22 mila espatri. Il fenomeno, naturalmente, continuò anche dopo il Secondo conflitto mondiale: dal 1946 al 1988 emigrarono 350 mila cosentini su un totale di 800 mila corregionali in uscita.

Le mete preferite sono sempre le Americhe (Argentina, Venezuela e Canada) ma anche l’Europa (Francia, Svizzera, Belgio e Germania). Tra gli anni ’80 e ’90 si registra anche un incremento nella migrazione interna, sia verso il Nord Italia che verso la Capitale. Solamente tra gli anni ’70 e ’80 c’è un leggero momento di flessione negli espatri: le condizioni generali del Paese sembrano anzi favorire un rientro consistente: quasi 150 mila cosentini fanno ritorno ma non portano ad alcun cambiamento strutturale sperato, perché pochissimi intraprendono attività produttive e molti in realtà ripartono dopo pochi anni di apparente quiete. Le ultime “spartenze, come le chiama Sommario, sono quelle dell’ultimo quindicennio. I flussi in uscita dalla provincia di Cosenza sono cresciuti in modo vigoroso e costante: gli iscritti all’Aire sono infatti aumentati del 70%. Essi sono passati dai 104 mila nel 2006 ai 178 mila del 2020, con un’incidenza sulla popolazione residente salita dal 14 al 25%, stante anche il calo demografico e l’aumento dell’indice di anzianità. Appena 37 mila sono invece gli stranieri residenti nella provincia cosentina, per lo più cittadini provenienti da Romania, Marocco e Bulgaria. In alcuni comuni al di sotto dei 5 mila abitanti, come Paludi, il quadro appare ancor più drammatico con un’incidenza del fenomeno emigratorio che pesa per quasi il 180%; ci sono poi comuni al di sotto dei mille abitanti, come Carpanzano e San Martino di Finita, che si stanno spegnendo velocemente: un mondo che sta scomparendo e, a sua custodia, sono rimasti soltanto anziani, chiese e case vuote. (Simone Sperduto/Inform)

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