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Un Italiano a Broadway: il grande successo di Mario Fratti

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Da “We the Italians”, intervista di Umberto Mucci
Un Italiano a Broadway: il grande successo di Mario Fratti
Broadway è una delle rappresentazioni iconografiche più famose e scintillanti del mondo di successo americano. E’ il mito per ogni attore, sceneggiatore, regista, coreografo: per chiunque sogni di entrare nel mondo dello spettacolo. A Broadway l’Italia non è molto rappresentata: a differenza di altri settori americani in cui gli italiani hanno scalato uno a uno i gradini della scala del successo, a Broadway ce n’è soltanto uno. Ma è un grandissimo.
Si chiama Mario Fratti, ed è l’autore di tante opere di successo, la più importante delle quali ha vinto molti premi ed è rimasta in cartellone per molto tempo: si chiama “Nine” e racconta la storia di uno dei più grandi uomini italiani di spettacolo in assoluto, Federico Fellini. Lo incontriamo nella sua casa di New York, dove esattamente 50 anni fa decise di spostarsi. E lo ringraziamo per la sua grande cortesia e disponibilità.
Maestro, lei è ormai un’icona del teatro italiano qui negli Stati Uniti. Ci racconta qualcosa del suo rapporto con questo straordinario Paese? E’ vero che festeggia ora i cinquant’anni di molto prolifica carriera in America?
In Italia ho fatto molto teatro, e ho anche vinto 33 premi. Ma purtroppo in Italia c’è la tendenza ad ignorare gli scrittori italiani. Io conosco almeno altri dieci drammaturghi in Italia che sono bravi come me, ma non hanno successo perché il mondo del teatro italiano non presta loro attenzione. L’America è più aperta. Nel mondo del teatro, chi arriva qui si presenta e dice: “Sono un drammaturgo”. Gli si risponde “Benvenuto, dammi il tuo copione”. Se la sceneggiatura piace, la comprano, e il gioco è fatto. E’ lo stesso per un cantante o un attore. Quindi, le porte sono aperte. La differenza di base è che qui negli Stati Uniti si fidano di te, in Italia in genere ti ignorano.
Il suo più grande successo è “Nine”, che si ispira all’opera “Otto e mezzo” del grande Federico Fellini. Cosa prova per quest’opera che forse è la sua più conosciuta, e perché secondo lei ha avuto così tanto successo (non solo negli States, ma in tutto il mondo) da vincere 7 Tony awards e fare più di 2000 repliche?
Funziona, perché ho cambiato l’originale 8 ½. Il film di Fellini è stato un vero e proprio capolavoro. Ma a Broadway avrebbe annoiato il pubblico a morte. Così, quando ho iniziato questo progetto, ho iniziato con uno spettacolo teatrale chiamato “Sei donne appassionate”: ed è la vita di Fellini. Quindi, ispirato alla vita di Fellini, ho iniziato un musical con un bravo e giovane compositore che ho scoperto: un professore, a Yale. Tutti dicono che Nine è ispirato da 8 ½ di Fellini, ma in realtà è la vita di Fellini, scritta da Fratti in “Sei donne appassionate”. Ad esempio: la ragione più importante per cui ha avuto un tale successo a Broadway sta nel fatto che ho inventato la scena in cui Fellini si reca a Venezia per girare “Casanova”. Quindi, in un certo senso, diciamo che Nine è basato su 8 ½, ma in realtà è cambiato tutto: il 10% è di 8 ½ e il 90 % è la mia sceneggiatura e il film di Casanova .
Gli americani conoscono Fellini e le sue magnifiche opere ?
Le persone dai 50 ai 90 anni sì, anzi in realtà lo adorano. Ma le giovani generazioni non lo conoscono. Ogni tanto parlo di Fellini e dei suoi capolavori, e i giovani mi guardano con stupore chiedendomi chi fosse.
C’è una sua opera che le sta particolarmente a cuore? E ce n’è una che lei ritiene non abbia avuto il successo che meritava?
C’è una mia opera che iniziai a Milano, chiamata “The Cage”, che ha avuto molto successo anche in America. E’ ispirata a Cechov, e questa è forse la prima che mi viene in mente quando penso a miei lavori.
Poi, ci sono almeno dieci opere che ho scritto qui, che sono anche meglio di “Nine”. Sono state e sono portate in scena, ma non sono considerati grandi successi come “Nine”. I critici sono curiosi di conoscere il mio lavoro, dicono che sono un legame, un ponte tra la cultura europea e la cultura americana.
Broadway e gli italiani: ci sono altre storie di successo, oltre la sua?
Purtroppo, generalmente il pubblico italoamericano italiano non va a teatro. Non c’è questa tradizione. Di conseguenza, i produttori sono riluttanti a lavorare con attori o drammaturghi italiani. Una commedia di Ugo Betti è stata in scena solo tre settimane; una di Luigi Pirandello solamente cinque mesi. Nessuna opera teatrale italiana è durata due anni come “Nine”, che però è diverso: è una combinazione di ironia italiana e stile americano tipo Broadway. Le rappresentazioni italiane semplicemente non vendono molti biglietti, e quindi ora è difficile portarle qui: il miglior pubblico a teatro qui è formato dagli anglosassoni, dagli ebrei, dagli afroamericani. Per il mio musical “Nine” gli italoamericani sono stati solo il 10% del totale del pubblico.
È sempre stato così?
Sì. La prima generazione di Italiani che venne qui era generalmente composta da contadini, agricoltori, operai che in realtà in Italia non erano mai andati ad un concerto o a teatro. Questa tradizione è passata dai nonni ai genitori, e poi ai nipoti: il teatro non fa per gli italoamericani. Preferiscono l’opera e i grandi cantanti.
Inoltre, purtroppo in tutti i film o in televisione gli italoamericani sono personaggi negativi. In questo mondo c’è una tendenza a mostrare gli italoamericani come machiavellici individui dei quali non ti puoi fidare. Quando insegno corsi di teatro, raccomando sempre ai miei studenti di creare buoni personaggi di origine italiana: uomini e donne di talento e onesti. Nei loro scritti dovrebbero sempre usare nomi italiani per i protagonisti positivi.
Di recente lei ha ricevuto qui in Italia il Capri award per la sua opera “Diario Proibito”, che narra della sua città natale, L’Aquila, durante la seconda guerra mondiale. Uscirà anche in America in lingua inglese?
La storia di questo libro è molto particolare. Ho scritto questo romanzo quando avevo vent’anni e viene pubblicato solo ora, 60 anni dopo. Avevo completamente dimenticato di averlo: l’ho ritrovato in una valigia. Prima di allora, quando la gente mi chiedeva quando avessi iniziato a scrivere, dicevo sempre “a trent’anni”, perché è allora che ho iniziato a scrivere per il teatro.
Il mio italiano a vent’anni era molto ricco, come quello di Moravia. Ora è completamente cambiato: è più conciso, più preciso, più “americano”. Tradurre il romanzo sarà un lavoro difficile, a causa della ricchezza del linguaggio. Le mie opere sono tradotte in 19 lingue: sono chiare, telegrafiche, per questo sono tradotte così spesso. Ma tradurre questo romanzo sarà un compito diverso e molto complesso.
Per finire, le chiediamo di dirci qualcosa circa l’ultima sua fatica, a teatro a New York fino a qualche giorno fa, a proposito della storia di Emanuela Orlandi. C’è voluto coraggio a trattare questo tema, con un titolo come “The Vatican Knows (about the kidnapping of that young woman)”?
Beh, adesso le cose stanno emergendo circa su un possibile complotto di alcuni cardinali per sminuire la figura del Papa polacco. Ci sono molte voci, ma certo, io sono audace quando scrivo di un argomento delicato. Ho scritto di Pinochet, Che Guevara, Kissinger: mi piace scrivere di temi politici. Nella commedia “The Vatican knows” si mostra la possibilità di un ricatto sullo sfondo del rapimento di Emanuela Orlandi. I terroristi vogliono scambiarla con Ali Agca, l’uomo che ha cercato di uccidere Papa Giovanni Paolo II. Ho scritto un’opera basata all’80% sulla realtà, con un po’ di immaginazione. Vede, io conoscevo Tennessee Williams e una volta mi disse che, per lui, ogni sceneggiatura deve essere basata sulla realtà, sull’autobiografia e sull’immaginazione. Per “The Vatican knows” ho avuto un grande cast e l’attrice Giulia Bisinella è stata meravigliosa nel rappresentare la sofferenza e la paura di Emanuela.
Questo lavoro ha ricevuto 7 ottime recensioni: è piaciuto molto. Sarà presentato nei teatri di Europa e Asia.
Tra l’altro, il nuovo Papa Francesco, che è davvero un grande uomo, è molto interessato a scoprire cosa è successo in Vaticano in quegli anni. E’ l’unico Papa che si è mostrato interessato a parlare con il fratello di Emanuela. E’ stata la prima volta che qualcuno dal Vaticano abbia ascoltato la sua opinione su ciò che è accaduto quando sua sorella è stata rapita. (Umberto Mucci – We the Italians /Inform)
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