ITALIANI ALL’ESTERO
Organizzato dal Comitato 11 Ottobre
MILANO – Il workshop del 10 maggio organizzato dal Comitato 11 Ottobre, presso la sede della Regione Lombardia al Palazzo Pirelli, dal titolo “L’Italia globale per un Paese migliore. Il genio italiano nel mondo: mobilità e solidarietà”, ha avuto una sessione interamente dedicata alle prospettive future e ai problemi, ormai da tempo consolidatisi, della questione migratoria italiana. Per i saluti istituzionali è intervenuto il Vicepresidente del Consiglio Regionale della Lombardia, Carlo Borghetti, che ha espresso il concetto del superamento dei confini nazionali e ha poi puntato l’attenzione sull’importanza del mantenimento dell’eccellenza italiana in un mercato sempre più globale. “Dovremmo chiederci cosa sia oggi un confine in un mondo globalizzato; nell’ottica di mobilità globale l’espressione ‘far rientrare i nostri connazionali’ forse non va neanche tanto d’accordo proprio con questa idea di superamento dei confini”, ha spiegato Borghetti parlando del progetto Post Expo – Mind (Milano Innovation District) in fatto di eccellenza e dei possibili scenari per il reinserimento di quanti volessero tornare in Italia. “L’eccellenza italiana ha saputo mantenersi intatta per esempio nel campo delle musica classica, mentre invece altre eccellenze storiche attualmente fanno fatica a competere nel mercato globalizzato. Oggi esiste inoltre un problema sul quale dover riflettere con molta attenzione e riguarda chi, per scelta, è andato all’estero sviluppando alte capacità e professionalità: non bisogna nascondere che sarebbe difficile andare a riprendere queste persone per riportarle a casa e dargli delle opportunità giuste in Italia. Si tratta di un obiettivo sul quale dover lavorare duramente, così come al contempo si dovrebbe fare di tutto per consentire di rimanere in Italia a chi invece è costretto a partire”, ha aggiunto Borghetti. Dello stesso avviso è stato anche il moderatore Aldo Aledda, del coordinamento Comitato 11 Ottobre, che ha messo in guardia sui “rischi di intercettare questi potenziali rientri solamente attraverso lo strumento delle agevolazioni fiscali, non riuscendo però a medio e lungo termine a garantire un qualcosa di veramente concreto in Italia a persone che invece all’estero hanno sviluppato alte professionalità: sarebbe necessario costituire una sorta di task force o di unità di crisi in grado di valutare anche ogni singolo caso al fine di individuare al meglio le potenzialità lavorative e professionali di questi nostri connazionali”, ha sottolineato Aledda.
Per il Ministero degli Affari Esteri è intervenuto Giovanni Maria De Vita che ha spiegato l’importanza di difendere e valorizzare queste nostre professionalità, anche nell’ottica del Made in Italy. “Dobbiamo attivare o difendere quelle iniziative che tendono a valorizzare la presenza degli italiani all’estero e a promuovere il Sistema Paese in un’ottica biunivoca, ossia coinvolgendo direttamente i nostri connazionali e facendoli sentire partecipi. Quindi è molto importante sviluppare la promozione di ciò che è italiano; questo perché, senza dubbio, nel concetto di globalizzazione non conta più quanti siamo bensì quello che facciamo. E’ per tale ragione che è doveroso sostenere le rete dei professionisti che hanno sempre viaggiato nel mondo e reso grande il nome del nostro Paese: oggi si parla molto di Leonardo Da Vinci, che era a suo modo un professionista e già a suo tempo era lo specchio del fenomeno di cui stiamo dibattendo in questa sede”, ha proseguito De Vita puntando quindi l’attenzione sul concetto di aggregazione e d’identità e illustrando alcune delle iniziative messe in atto dalla rete diplomatica e consolare. “Nel 2012 nasce l’iniziativa dell’Ambasciata di Berlino per orientare gli italiani in arrivo verso i primi passi da compiere in Germania, dal cercare casa fino a trovare un lavoro, poiché anche la Germania conosce il dramma del lavoro nero; il progetto è stato migliorato in questi anni attraverso i contatti con le istituzioni locali. Ricordo anche il progetto – ha proseguito De Vita – di primo approdo nel Regno Unito, con seminari divulgati attraverso i social. Anche in Australia vi è stata una serie di campagne informative sui rischi che potevano incontrare i nostri connazionali. Stiamo negoziando accordi anche con altri Paesi per agevolare ad esempio i giovani lavoratori. Accanto a tutto questo c’è stata l’attivazione di sportelli informativi nel mondo in collaborazione con i Comites”, ha aggiunto De Vita parlando di un valore prodotto dai connazionali all’estero che equivale a circa nove miliardi di euro; un pensiero finale è andato al dramma del Venezuela dove il Maeci ha provveduto a fornire assistenza ai nostri connazionali, grazie anche all’attenzione parlamentare che ha portato dal 2017-2018 ad innalzare il livello di aiuti, attraverso canali concordati con le autorità venezuelane.
E’ quindi intervenuto Fabio Porta del coordinamento Comitato 11 Ottobre, già Presidente del Comitato parlamentare della Camera per gli italiani nel mondo, che ha illustrato le finalità di questa iniziativa. “Il nostro obiettivo è dare un seguito e un risultato, quindi una risposta, a determinati interrogativi anche perché la grande eterogeneità delle istituzioni preposte a questi temi finora non ha fornito grandi risposte. Ci proponiamo di lavorare su un piano sia locale che globale: non ci limitiamo solo alle grandi tematiche, ma a risolvere quei problemi specifici per gli italiani all’estero come potrebbero essere ad esempio quelli relativo alla cittadinanza o al Venezuela. Altre potenze, come Israele o Commonwealth, che pure hanno numeri diversi da noi, anche nel patrimonio storico-culturale, hanno tuttavia messo in campo politiche più avanzate”, ha spiegato Porta. “Le associazioni degli italiani all’estero – ha aggiunto Porta – stanno soffrendo un processo di invecchiamento e di allontanamento delle nuove generazioni e degli italo-discendenti: questo vuol dire che non siamo stati capaci di intercettare queste realtà. Il Venezuela è un caso di come non riusciamo a rapportarci a quell’altra Italia che vive nel mondo: non siamo stati capaci di mettere in piedi una task force per regolare i rientri, convalidare i titoli di studio e creare canali privilegiati per l’ottenimento della cittadinanza”, ha concluso Porta lamentando, tra l’altro, di come i nostri connazionali che vivono in Paesi extraeuropei non possano accedere al voto per le elezioni europee se non tornando in Italia.
Piero Bassetti, Presidente di Globus et Locus, ha parlato degli italici e della svolta nell’epoca della glocalizzazione dove tutto è ‘panta rei’. “Migrare è un plusvalore, nell’epoca della mobilità, purché non si sia costretti a farlo. Il Made in Italy nasce quando si sceglie di mangiare o di vestire all’italiana, ma bisogna capire che buona parte di una certa produzione in realtà è in mano ad altri; quindi dobbiamo giocarci bene le nostre carte e i nostri valori nella misura in cui non sono più necessariamente ancorati a un solo territorio nazionale. Il problema dell’ibridazione non si può evitare: nella glocalizzazione, il globale integra il locale. Continuare a ragionare con schemi vecchi è un errore; adesso cerchiamo di far prendere una maggior coscienza del proprio ruolo a queste persone, ossia gli italici, portatrici della nostra civiltà nel mondo: questo vale sia per gli italiani emigrati da poco all’estero e sia per i discendenti di seconda e terza generazione”, ha spiegato Bassetti al quale ha fatto seguito l’intervento di Riccardo Giumelli dell’Università di Verona sul tema del Post-Made in Italy. “Oggi ci troviamo di fronte dei migranti che sono nativi digitali: già dalle scuole fanno esperienze di studio internazionali, pensano in maniera diversa dalle vecchie generazioni e non è vero che non abbiano valori, semplicemente ne hanno altri. Esiste oggi un ‘Post-Made in Italy’ da destrutturare perché molto è cambiato anche lì: non sono soltanto le persone che si ibridano, ma i prodotti stessi. Italia, Francia e Usa ad oggi sono i primi tre Paesi nella scala d’influenza culturale nel mondo”. ha spiegato Giumelli.
Beniamino Coccia dell’Università Pio V ha parlato di una ricerca condotta da Idos e pubblicata nel libro “Europa dei talenti”: un lavoro nato dalla richiesta della Commissione Cultura dell’Unione Europea dopo la presentazione al Parlamento europeo, tre anni fa, di un rapporto sulla cosiddetta fuga di cervelli. “Per Eurostat nel primo trimestre 2018 in Europa erano vacanti oltre 3 milioni di posti di lavoro e con questo ‘inverno demografico’. Già entro il 2020 mancheranno in Europa centinaia di migliaia di professionalità, anche nel settore sanitario qualificato. Per quanto riguarda lo strumento della carta blu per l’ingresso di persone qualificate nell’Unione europea, nel 2017 sono state concesse solo ventiquattromila carte blu: più dell’80% dalla Germania mentre dall’Italia solo poche centinaia”, ha spiegato Coccia. “Mediamente in Europa sono in calo anche i permessi di studio, sebbene in modo tutt’altro che omogeneo tra i vari Stati. Tornando alla migrazione per ragioni lavorative, nel 2017 erano circa sedici milioni le persone europee che lavoravano in uno Stato membro diverso da quello di nascita; di questi, due milioni erano frontalieri. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è arrivato ad essere l’ottavo Paese al mondo per emigrazione: le destinazioni principali degli italiani sono il Regno Unito, la Spagna, la Francia, il Belgio e la Germania. Oggi abbiamo centoventimila espatri registrati dall’Istat che ci riportano indietro gli anni ’70. Al 2017 avevamo perso quasi novantamila laureati; ricordo che l’Italia è il terzo Paese in Europa e il quinto nel mondo per numero di pubblicazioni scientifiche, prodotte da giovani ricercatori. Cinquecentomila italiani sono espatriati negli ultimi dieci anni: essi sono il frutto della sfiducia nel nostro Paese che, al contempo, è anche poco attrattivo per i talenti altrui”, ha sottolineato Coccia.
Maddalena Tirabassi, Direttrice del Centro sulle migrazioni AltreItalie, ha parlato della recente ricerca riguardante le ‘famiglie expat’. “La nostra indagine ha riguardato cinquecento famiglie che hanno avuto l’esperienza diretta della migrazione di un parente, generalmente di figli che vanno all’estero per studio o per lavoro, dove spesso il mantenimento da casa resta anche dopo il periodo degli studi fintanto che non avvenga una vera integrazione e indipendenza economica. Oggi preferiamo parlare di famiglie transnazionali, nella misura in cui l’emigrazione dei figli coinvolge anche l’intera famiglia. Avere un figlio all’estero fa cambiare la mentalità anche a chi resta: vediamo genitori che imparano ad usare strumenti web per dialogare con i familiari all’estero o magari per imparare una lingua utile ad andarli a trovare. A volte il momento stesso della pensione diviene l’occasione per trasferirsi all’estero quando ormai i figli non intendano più rientrare in Italia”, ha affermato Tirabassi.
Hanno concluso la sessione due Avvocati, Stefano Traldi e Luca Faccin, che hanno rispettivamente affrontato le questioni della cittadinanza per i discendenti degli italiani all’estero e degli strumenti legali per ottenerla. Come hanno spiegato i due professionisti forensi, oggi l’acquisizione della cittadinanza per discendenti può comportare tempi anche lunghi. Una situazione – secondo i legali – che contrasterebbe con la necessità di incentivare invece i rientri in Italia al fine di portare dei valori aggiunti; un’altra questione è quella della doppia cittadinanza, anche in rapporto e in funzione degli altri Stati.(Simone Sperduto/Inform)