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“Turismo delle radici, un’opportunità per ripartire con il Rooting Experience Planning”, intervista a Letizia Sinisi

ITALIANI ALL’ESTERO

 

 

ROMA – “Turismo delle radici, un’opportunità per ripartire con il Rooting Expercience Planning”, questo il titolo del libro realizzato da Letizia Sinisi, esperta nel settore, che sarà in uscita e quindi disponibile già entro fine mese nel circuito e-commerce. Nei giorni scorsi il volume è stato già oggetto di una presentazione: a Rimini, in occasione della manifestazione fieristica internazionale TTG Travel Experience. La prefazione del volume è stata firmata da Giovanni De Vita (Maeci) e da Giorgio Palmucci (Enit). Nel testo sono citate le principali attività sostenute dal Maeci ed è stata anche realizzata una selezione delle buone pratiche da mettere a sistema. Sono state citate, in modo particolare, le professionalità che gravitano intorno al Master dell’Unical – come il Professor Tullio Romita – ma anche il saggio di Antonella Perri, le Guide alle Radici di Raìz Italiana con Marina Gabrieli, il Piccolo Festival delle Spartenze di Giuseppe Sommario, il libro sul Post-Made in Italy di Riccardo Giumelli e l’Ambassador Cristina Mobrici. Il libro è composto da quattro parti nelle quali si parla del posizionamento del turismo delle radici all’interno dell’ecosistema del turismo, per creare le giuste interconnessioni finalizzate a restituire all’Italia una giusta immagine dell’altra Italia, ossia quella al di fuori dei confini nazionali. “Il turismo delle radici è una forma di turismo immateriale e culturale ed è rivolto ai nostri oriundi e discendenti”, ha posto in premessa Sinisi ricordando che si parla di una platea potenziale di circa 80 milioni di individui ai quali aggiungere altrettanti italofili o italici, attratti dal nostro Paese pur senza avere necessariamente legami genealogici.

“Questo turismo è un connubio di genealogia, per ritrovare le proprie origini familiari, e di esperienza nei territori. E’ un viaggio alla ricerca di se stessi e della propria identità: in tal senso va in controtendenza rispetto alla globalizzazione”, ha spiegato Sinisi evidenziando però un dato sul quale riflettere. Al di là del mondo istituzionale e accademico, che già conosce bene il fenomeno, esso resta ancora da approfondire per buona parte dell’ambiente che gravita attorno al cosiddetto turismo tradizionale. Per comprendere però la portata reale del fenomeno, legato alla voglia di italianità che c’è in chi è emigrato e nei suoi discendenti, bisogna “andare oltre lo stereotipo della valigia di cartone” come ha precisato Sinisi. “E’ un manuale pensato in primis per gli operatori turistici”, ha dunque sottolineato l’autrice aggiungendo che il turismo delle radici necessita di un coordinamento tra i vari attori, sia pubblici che privati, che operano in un dato ecosistema territoriale. L’invito è rivolto anche alle comunità locali affinché possano cogliere a pieno le opportunità offerte da questa tipologia di turismo. Il modello promosso dall’autrice è quello del Rooting Experience Planning già ben collaudato, replicabile e differenziabile a seconda dei contesti. Nel libro si parla anche dei nonni, come ha voluto puntualizzare Sinisi ricordando l’aneddoto di Bill de Blasio (sindaco di New York) che nel 2014 cercava sua nonna nel paese di origine in Basilicata.

Questi turisti in realtà non amano però definirsi tali: come ha raccontato Sinisi, prima della loro partenza dall’Italia è usanza un saluto con una cerimonia nella quale si proclamano e vengono premiati come “rootisti”. “Ciò che contraddistingue questo turismo rispetto a quello convenzionale non è il ‘cosa’ ma il ‘come’: fondamentalmente se facciamo un tour è importante che una parte del viaggio sia molto intensa e lasci un segno. Il viaggio in fondo è come un anello, ma è la pietra preziosa a distinguere e rendere poi unico quell’anello”, ha spiegato Sinisi ponendo in rilievo anche la differenza tra turismo delle radici e turismo esperienziale. Sostanzialmente nel turismo delle radici è il viaggio stesso l’esperienza mentre il turismo esperienziale coinvolge in qualcosa di particolare il turista, ma non contempla necessariamente il senso d’appartenenza ai luoghi. Cosa rende vincente il tutto è l’organizzazione e il saper creare una metodologia di squadra. “Già dall’arrivo in aeroporto, nel minivan si fanno trovare dei prodotti tipici locali in modo da dare già la giusta accoglienza. Il lavoro quindi inizia ancora prima, cercando di capire cosa cercano queste persone. Così un itinerario, che tecnicamente è sempre definibile come ‘itinerario turistico’, può essere anche tradizionale ma a fare la differenza è il linguaggio usato o la serie di attività che aiutano la persona a comprendere la parte di sé che sta ricercando”, ha spiegato Sinisi portando come esempio anche la rottura rispetto alla routine dell’iperconnessione in rete. “Se in un luogo preciso non c’è il wi-fi, lo diciamo prima ma ne approfittiamo per stimolare le persone ad allenarsi al silenzio: l’idea è prendere tutto il lato positivo che c’è di un luogo. Abituati a questo silenzio, perché questo era quello che ascoltavano i tuoi nonni: se continui a stare al telefono, non apprezzi questi odori”, ha così reso in immagine l’autrice il senso di un tipo di esperienza che non può essere mercificabile né può essere tradotta in prezzo come avviene per esempio con molte attività di un turismo esperienziale classico. E da qui il monito di Sinisi ad approcciarsi a queste persone nella maniera quanto più schietta, genuina e qualificata possibile. “Se loro percepiscono che si vuole mercificare la loro storia, scappano: sono storie talmente intime per cui, se queste persone pensano che si stia tentando di ottenere solo dei vantaggi economici dal loro arrivo, si allontanano. Per me è una missione prima ancora di un lavoro: chi esercita quest’attività deve avere prima di tutto qualità umane. “Tecnicamente è un viaggio normale organizzato da un rooting planner come avviene per i viaggi tradizionali: a fare la differenza però è la parte della ricerca genealogica perché dipende dal tipo di ricerca e da quanto si vuole andare a fondo con la propria storia familiare”, ha concluso Sinisi parlando dei tempi necessari a organizzare un viaggio di questo genere. (Simone Sperduto/Inform)

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