giovedì, 5 Dicembre, 2013 in
NOTIZIE INFORM
ITALIANI ALL’ESTERO
Dal “Messaggero di sant’Antonio”, edizione italiana per l’estero, numero di dicembre
Canada. Da povero che era…
VANCOUVER- Per decenni sono andata alla ricerca di storie semplici di italiani. Dal Brasile al Guatemala, dal Messico alla California: quante lezioni di umanità nei personaggi intervistati! Di recente ho scoperto un’altra persona speciale nello stesso villaggio di pescatori e agricoltori dove risiedo da due decenni, nella British Columbia. «Ma quando, come e perché è arrivato a Ladner (villaggio sul delta del Fraser a sud di Vancouver, ndr)?» chiedo a Beppe Gandola, benestante pensionato, già gestore e proprietario del ristorante La strada, chiuso qualche anno fa. «È scritto in questo libro» risponde, facendomi omaggio del suo Out of the Black Pot, oltre trecento pagine in chiaro e fluido inglese, a memoria di una vita combattuta con determinazione per riscattarsi da condizioni di estrema povertà.
«La mia storia ha inizio a Begola, a sei chilometri da Bellagio, sul lago di Como: è là che sono nato, sesto di sette figli, da papà Giovanin e mamma Gina» racconta Beppe. Lombardo di nascita, questo ex ristoratore porta però un cognome di origine veneziana (Gandola è una storpiatura di «gondola», la tipica imbarcazione lagunare alla cui fabbricazione si dedicavano gli antenati del nostro protagonista). A metà anni Quaranta, quando in Italia le ferite del secondo conflitto mondiale erano ancora sanguinanti, il lavoro scarseggiava e molte famiglie, specialmente quelle numerose, soffrivano la fame, il freddo e l’isolamento. I nove Gandola abitavano sulla montagna prospiciente il lago di Como, in una casetta di sassi costituita da due stanze più un bugigattolo abitato da un asino e una capra. Tutto intorno si estendeva il bosco, fonte di legna per il focolare, ma anche riserva di animaletti, castagne, erbe selvatiche e funghi da cucinare in casa, nell’affumicata pignatta appesa sopra il fuoco (da cui il titolo del libro). Papà Giovanin riparava ombrelli e, di tanto in tanto, andava in paese a vendere erbe. Mamma Gina, dopo la nascita dell’ultimogenito Teo, non resse al dolore per la tragica morte del primo figlio Stefano e fu ricoverata per malattia mentale. Quanto al sesto figlio Beppe, quando ebbe terminato la quinta elementare, fu mandato a lavorare in una trattoria a trenta chilometri da casa. Puliva pavimenti e riempiva bicchieri di vino: quattordici ore al giorno, per quattro anni. Come dormitorio aveva un sottoscala: «il mio rifugio e un posto per piangere» ricorda ora il nostro protagonista. Ma da quella durissima prova nacque il riscatto. Beppe Gandola decise di specializzarsi nel settore dell’ospitalità e della ristorazione.
Dal Due Torri di Lecco all’Hotel du Lac di Bellagio – dove il 30 giugno 1963 fu ospitato John Fitzgerald Kennedy, allora presidente degli Stati Uniti («Mi sorrise e mi strinse la mano. È stato meraviglioso. Avrei voluto dirgli qualcosa, ma la lingua inglese mi era ancora sconosciuta») –, Gandola prestò servizio in alberghi prestigiosi. Diventato poliglotta dopo anni di lavoro in Germania, Belgio e Inghilterra, a metà anni Settanta sposò l’australiana Sandra e si trasferì in Canada. Portava all’elegante Panorama Roof dell’Hotel Vancouver l’esperienza maturata al Savoy Hotel di Londra, dove aveva servito personaggi celebri del cinema e membri di stirpe reale. Comprò casa a Ladner, dove i figli John e Claire sono cresciuti.
Oggi Beppe e Sandra, dopo una vita di sacrifici e duro lavoro, scorazzano felici per il Nord America in motor home (camper, ndr), la loro casa viaggiante.(Anna Maria Zampieri Pan-Messaggero di sant’Antonio, edizione italiana per l’estero/Inform)